Punti di interesse tappa 1 (Cavo-Porto Azzurro) Per visualizzare ubicazione punti vedi mappa qui oppure scarica mappa pdf
Il Mausoleo Tonietti
Al quadrivio, dove si trova un’area picnic, si imbocca sulla destra un sentiero di pochi metri che conduce al Mausoleo Tonietti. Si tratta di un edificio ormai diroccato in pietra dalla forma particolare che risale ai primi del 1900 e fu progettato in stile neogotico dall’architetto Adolfo Coppedè per i Tonietti, importante famiglia dedita all’estrazione mineraria della zona. La costruzione avrebbe dovuto essere utilizzata come monumentale tomba di famiglia. Tuttavia la mancata autorizzazione cimiteriale ne impedì l’impiego secondo la volontà dei committenti e causò il suo abbandono. Il Mausoleo presenta una pianta quadrata ed è costituito da un imponente torrione che richiama la forma di un faro. L’affascinante edificio è in attesa di un restauro che lo valorizzi, pertanto è pericoloso accedere all’interno.
Il Semaforo di Monte Grosso
La strada sterrata in salita che conduce al Monte Grosso serve due edifici residenziali ricavati dalla ristrutturazione di un semaforo militare già presente nell’800 utilizzato poi dalla Regia Marina come punto di avvistamento contraereo nella seconda guerra mondiale. Si trattava di un punto strategico per l’osservazione dei traffici marittimi tra la costa toscana e l’Isola d’Elba. Oltre alla postazione semaforica esisteva un deposito carburante e un edificio utilizzato come alloggio per i marinai. Nella prima metà del 900, prima della definitiva dismissione, ospitava una stazione metereologica.
Il collegamento con la spiaggia dei Mangani
In località Case Colli la GTE incrocia la strada della Parata che unisce Rio nell’Elba al Cavo ed il sentiero n. 265. Utilizzando questo tracciato è possibile fare una deviazione per raggiungere in circa 20 minuti la selvaggia spiaggia dei Mangani. Da lì si può decidere di ritornare sui propri passi oppure ricollegarsi in circa 1 ora di cammino alla GTE più a sud, proseguendo lungo costa fino alla spiaggia di Nisportino e mediante il sentiero n. 201 arrivare in località Aia di Cacio. Il sentiero n. 265 è classificato per escursionisti esperti. Presenta infatti in alcuni punti il piano di calpestio sconnesso e brevi tratti risultano esposti. Per maggiori informazioni consultare Percorso di Nisportino - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)
Il collegamento con Monte Serra e Eremo Santa Caterina
Nella piazzola in Loc. Aia di Cacio la GTE incrocia 2 sentieri : il sentiero 201 che conduce a Nisportino (per maggiori informazioni consultare Percorso di Nisportino - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it) ed il panoramico sentiero ad anello del Monte Serra n. 202 (per maggiori informazioni consultare Percorso di Monte Serra - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it). Inoltre, prima di attraversare la strada asfaltata e proseguire il cammino sulla GTE, si può percorrere la viabilità verso Rio nell’Elba e dopo poco imboccare il breve tracciato 203 che permette di accedere all’Eremo di Santa Caterina con annesso Orto Botanico dei Semplici.
I Diaspri
Nel tratto di GTE di circa 2 km compreso tra i due attraversamenti della viabilità asfaltata (Località Aia di Cacio e Le Panche) il piano di calpestio è instabile per la presenza di ghiaia che crea qualche difficoltà nella salita al Monte Strega. Si tratta di diaspro o radiolarite, una roccia sedimentaria rossastra sottilmente stratificata e fittamente fratturata formatasi 180 milioni di anni fa a seguito del deposito sul fondale dei gusci silicei di microscopici organismi marini. Alle Panche si passa poi alla roccia basaltica fino a Cima del Monte dove si incontrano di nuovo i diaspri. Lungo il cammino anche chi non è esperto in materia può apprezzare la straordinaria diversità geologica dell’Isola d’Elba, unica al mondo. Il paesaggio è frutto dell’azione degli agenti atmosferici sui diversi tipi di roccia e dalle relative caratteristiche pedologiche da cui dipende anche la copertura vegetale.
Il punto panoramico di Cima del Monte
Cima del Monte con i suoi 515 m rappresenta la quota maggiore dell’Elba centro-orientale. La fatica per raggiungerla è ripagata dal panorama mozzafiato che spazia a 360° : a nord si vedono l’Isola di Capraia e, con l’aria molto nitida, quella di Gorgona, la costa toscana a est, e a sud l’Argentario e le isole del Giglio, Montecristo e Pianosa. Infine, ad ovest, dietro il massiccio del Monte Capanne, spunta la Corsica.
Il Fiordaliso dell’Elba
In un’area di pochi km quadrati dalla zona Monte Monserrato – Monte Castello fino alla Fortezza del Volterraio si trova una rarità botanica. Una piccola pianta alta fino a 50 cm, riconoscibile dai fiori viola racchiusi in una struttura rotondeggiante detta capolino, presente al mondo solamente in quest’area ristretta. Si tratta del Fiordaliso dell’Elba (Centaurea aethaliae) che grazie all’isolamento geografico ha sviluppato caratteristiche particolari tali da essere considerato endemico. Vegeta in luoghi soleggiati e aridi nelle garighe e sulle pareti rocciose, generalmente su rocce silicee, ha un fusto che si ramifica in alto, capolini terminali e globosi con involucro munito di numerose brattee o squame, foglie indivise alla base a parte quelle del fusto divise e pennatosette. Questa specie è inserita in un gruppo di fiordalisi geograficamente isolati al quale appartiene anche il Fiordaliso del Capanne (Centaurea ilvensis).
Il collegamento con il Santuario della Madonna del Monserrato
Al termine della discesa che da Cima del Monte conduce verso sud, la GTE confluisce in un’ampia strada sterrata, da dove si stacca il sentiero n. 205 che aggira a nord Monte Castello. Questa deviazione può essere utilizzata come alternativa per arrivare in circa 2 ore alla fine della tappa a Porto Azzurro. Si tratta di un percorso riservato ad escursionisti esperti, più impegnativo della GTE, a causa di alcuni passaggi esposti in cui è necessario prestare attenzione. Il maggiore impegno è ripagato dalla possibilità di visitare un ambiente aspro ma affascinante in cui è incastonato il magnifico Santuario della Madonna del Monserrato. Edificato nel 1606 dal primo governatore del nascente presidio spagnolo di Longone (antico nome di Porto Azzurro rimasto fino al 1947) per essersi salvato da una tempesta che lo aveva colto in navigazione. Il luogo fu scelto dal governatore per la somiglianza delle conformazioni rocciose con quelle presenti in Catalogna nei pressi del monastero di Monserrat. Per maggiori informazioni consultare Percorso del Santuario del Monserrato - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)
Punti di interesse tappa 2 (Porto Azzurro-Procchio) Per visualizzare ubicazione punti vedi mappa qui oppure scarica mappa pdf
La strada militare di Colle Reciso
Arrivati a Colle Reciso, dopo aver abbandonato la strada asfaltata, la GTE coincide per circa 5 km con una strada militare costruita durante la Seconda guerra mondiale, per facilitare gli spostamenti di truppe, armi e munizioni. Durante il cammino si potranno apprezzare alcune opere di pregevole fattura come possenti muri di contenimento, interventi per la regimazione delle acque, cippi troncoconici in granito ai lati della strada, alcune pietre miliari, oltre a piccole lastre con la dicitura “DM” (demanio militare). Inoltre, a lato della strada, nella parte iniziale, si possono osservare le riservette, due curiosi piccoli edifici stretti e lunghi a servizio dei militari.
Il Mulino a Vento
A circa 2 km dall’inizio della strada sterrata, poco prima dell’incrocio con il sentiero n. 221 che conduce alla Villa napoleonica di San Martino si stacca sulla sinistra un breve sentiero che arriva nei pressi del Poggio del Molino a Vento, dove si apre il panorama sul Golfo di Lacona. Poco distante è presente un edificio abbandonato. Secondo alcuni si trattava di un antico mulino a vento poi riconvertito a civile abitazione. Sull’isola erano presenti, nel passato, numerosi mulini che sfruttavano perlopiù l’acqua come forza motrice come quelli della valle dei mulini di Rio nell’Elba dove se ne trovavano ben 22.
La lecceta
Lungo la strada sterrata, osservando la vegetazione soprattutto verso valle, si potranno notare diversi lecci di grande dimensione. Il Leccio (Quercus ilex) è la specie ad alto fusto caratteristica dei boschi sempreverdi della macchia mediterranea : anticamente, prima del loro sfruttamento, estese leccete ricoprivano il territorio dell’Elba. Quelle attualmente presenti, localizzate in alcune limitate aree, sono invece caratterizzate da piante sviluppatesi a seguito del taglio del tronco principale a formare i cosiddetti boschi cedui. Il taglio della legna era una pratica diffusa fin dal tempo degli Antichi Romani, funzionale alla produzione del carbone per alimentare le fornaci di riduzione del ferro. Più recentemente le leccete sono state danneggiate da incendi spesso di natura dolosa.
I termini di Portoferraio
Poco dopo l’incrocio con il sentiero n. 221, che conduce alla Villa napoleonica di San Martino, sulla sinistra si incontrano i bivi con il sentiero n. 215 che conduce a Lacona ed il breve 214 che corre parallelo alla GTE salendo sul Monte Barbatoia e poi sul Monte San Martino dove si può osservare una testimonianza storica. Si tratta di un “termine”, un cippo (ristrutturato nel primo Novecento), che indicava i confini del territorio granducale di Portoferraio. I termini erano 9. Cause di accese dispute tra gli elbani, furono posizionati in seguito alla restituzione dell’isola, nel 1557, dall’imperatore Carlo V ai principi di Piombino, lasciando al Granducato di Toscana solamente Portoferraio con due miglia di territorio circostante. Questo manufatto è la testimonianza di un’epoca in cui l’Elba era contesa tra le principali potenze europee per la sua posizione strategica per i traffici marittimi e per il controllo del Tirreno Settentrionale.
Le specie aliene invasive
Nei pressi del quadrivio la GTE abbandona la strada sterrata e continua in discesa lungo un sentiero di non facile percorribilità: qui si possono osservare, a lato della strada, alcune specie vegetali alloctone invasive. Si tratta in particolare di acacie riconoscibili per la presenza di spine acuminate. Questa specie, come molte altre importate sull’isola dall’uomo, si sono adattate a tal punto all’ambiente da minacciare le specie orginarie e causare gravi danni alla biodiversità. Identificare le specie autoctone, cioè originarie del luogo, consente di apprezzarne oltre alla bellezza il valore ecologico.
Le ‘case dei Lombardi’
Al termine della discesa, piuttosto impegnativa, che conduce in Loc. Literno il tracciato, prima di passare su un ponticello, costeggia alcuni ruderi di case coloniche che risalgono almeno al 1840, risultando presenti nelle carte del Catasto leopoldino di quell’epoca. Osservando gli edifici dal sentiero, senza avvicinarsi per non correre rischi, è possibile notare alcuni particolari interni come pareti dipinte di rosso e celeste, mensole in muratura, grossi camini in pietra, palmenti (vasche in pietra utilizzate per la produzione del vino). Questi edifici, apparentemente poco significativi, sono la testimonianza di un’epoca piuttosto recente in cui l’economia dell’isola, fatta eccezione per le attività estrattive, era principalmente legata all’agricoltura e in particolare alla viticoltura. Curioso è il nome con cui all’Elba sono conosciute queste abitazioni abbandonate : case dei lombardi. Il riferimento è ai lavoratori stagionali dell’Appennino emiliano che tra l’Ottocento e il Novecento abitavano questi immobili e venivano chiamati erroneamente lombardi dai contadini elbani.
Punti di interesse tappa 3 (Procchio-Poggio) Per visualizzare ubicazione punti vedi mappa qui oppure scarica mappa pdf
La Fortezza d’altura di Monte Castello
Arrivati a Monte Castello la GTE costeggia alcuni massi apparentemente insignificanti. In realtà, tra la vegetazione, si nasconde un vero e proprio tesoro archeologico. Si tratta dei resti di un villaggio fortificato etrusco, il cosiddetto Oppidum, edificato in una posizione strategica per il controllo dei traffici marittimi sulla costa nord e sud dell’isola rispettivamente in corrispondenza dei golfi di Procchio e Marina di Campo. Sulla base dei materiali ritrovati, conservati al Museo Civico Archeologico di Marciana, la fortezza è databile al periodo classico etrusco (V sec. a.C). Tra questi una testa fittile che potrebbe indicare una prima fase di vita del villaggio legata ad aspetti religiosi. Le mura, costruite in blocchi di medie e grandi dimensioni, erano impostate su un piano di posa in lastroni accuratamente preparati e connessi. Era presente un piano elevato con pavimento in coccio pesto. Al piano inferiore sono stati scoperti dei grandi contenitori in terracotta detti dolia, contenenti grano, che fanno supporre si trattasse di un magazzino per lo stoccaggio delle derrate alimentari. Il ritrovamento di strati di crollo e tracce di combustione fanno supporre che la fine del villaggio sia stata causata da un evento drammatico probabilmente legato alla conquista romana del sito forse databile nel 259 a.C. Nell’area sono inoltre presenti manufatti ad uso militare risalenti alla Seconda guerra mondiale.
La macchia mediterranea
La macchia mediterranea è l'associazione vegetale sempreverde, colorata e profumata di fioriture presente sulla maggior parte del territorio isolano. Percorrendo i sentieri si noterà che si sviluppa in diverse tipologie. Si va dalla bassa gariga nelle aree colpite nel recente passato dagli incendi o con suolo roccioso superficiale come sono le garighe a dominanza di cisto e rosmarino, alle macchie alte come quelle a dominanza di erica e corbezzolo, fino allo stadio evolutivo più avanzato rappresentato dalla lecceta. Da questo punto di vista il tratto della GTE tra il Colle di Procchio e Colle Reciso è particolarmente interessante in quanto rappresenta una sorta di spartiacque tra un tipo di macchia bassa, tipica delle aree più aride, definita dai botanici “macchia a dominanza di calicotome e cisto di Montpellier” presente a meridione del tracciato e i boschi a dominanza di leccio alternati con le macchie alte a dominanza di erica arborea e corbezzoli più diffusa a nord del sentiero. Quest’ultima formazione al termine della discesa che da Monte Castello va verso Colle Reciso forma in alcuni punti una sorta di suggestivi tunnel di vegetazione.
Il regno del granito.
Da qui in avanti la GTE si snoda sul massiccio granodioritico del Monte Capanne, un ammasso di rocce magmatiche solidificatesi all’interno della crosta terrestre indicato dai geologi col termine di ‘plutone’. Questo ed altri complessi fenomeni hanno consentito la formazione di una grande quantità di minerali, una varietà unica al mondo in un territorio così limitato. Osservando attentamente questo granito si possono riconoscere i minerali che lo costituiscono: su una massa di fondo formata da cristalli minuti di biotite (neri), quarzo (lucenti) e plagioclasi (bianchi) si distinguono cristalli bianchi più grandi di feldspato potassico. Nel primo tratto della terza tappa il piano di calpestio è sabbioso, è il risultato dell’azione degli agenti meteorici sulla roccia granitica. Si possono inoltre osservare sciolte nel terreno pietre biancastre di pochi centimetri, si tratta di cristalli di feldspato potassico. Il granito dell’Isola d’Elba è stato estratto e lavorato dall’antichità fino ai giorni nostri. Testimonianze di queste lavorazioni si trovano nel versante sudorientale del massiccio. Si tratta delle cosiddette vie del granito. Per maggiori informazioni consultare Percorso delle vie del granito - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)
Le pinete
Nell’area del Monte Perone come in quella del Monte Orello la GTE attraversa alcune pinete. La maggior parte furono realizzate tra il 1949 e il 1970 utilizzando pini mediterranei quali il Pino domestico (Pinus pinea), Pino d’Aleppo (Pinus halepensis) ma soprattutto il Pino Marittimo (Pinus pinaster). I cantieri forestali avevano la funzione di migliorare, secondo i criteri dell’epoca, la vegetazione. In realtà la loro utilità fu soprattutto sociale, consentirono infatti di impiegare migliaia di operai e fornire un importante supporto economico alla popolazione per affrontare la crisi economica del dopoguerra. I botanici non assegnano un importante valore naturalistico a questi boschi. In alcune aree il Parco Nazionale effettua diradamenti per favorire lo sviluppo della vegetazione originaria. Sul Monte Perone grazie ad una nuova piantumazione la pineta verrà nel tempo sostituita dalla lecceta.
Il Sentiero per disabili visivi
Sul Monte Perone, poco prima di attraversare la strada asfaltata, nei pressi di una casetta in legno, si imbocca a sinistra il sentiero attrezzato per disabili visivi. Per maggiori informazioni consultare Sentiero Elba n. 122 - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)
Il Santuario delle farfalle “Ornella Casnati”
L’ultima parte della 3° tappa della GTE dal Monte Perone fino quasi alla biforcazione tra i rami sud e nord della GTE coincide con il Santuario delle farfalle “Ornella Casnati”, riconoscibile dai pannelli illustrativi presenti sul sentiero. L’area è definita un “hot spot” di biodiversità, qui infatti per un insieme di fattori geografici, ecologici e climatici è stata riscontrata un’eccezionale varietà di farfalle. Per maggiori informazioni consultare Santuario delle farfalle - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)
Il sentiero n. 100
Si tratta di una via ferrata che origina dalla GTE nei pressi di Monte Maolo, incrocia la GTE sud alla foce delle Filicaie o Malpasso e termina sulla GTE nord nei pressi del Monte di Cote. La via è classificata come sentiero EEA (escursionisti esperti attrezzati) ed è quindi percorribile solamente con idonea attrezzatura: imbrago, kit apposito con doppio moschettone con dissipatore e caschetto. Per maggiori informazioni consultare 100 - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)
I Tassi
Quando la GTE sale di quota si può notare il mutamento della vegetazione con la comparsa di specie che prediligono maggiori altitudini. Tra queste particolarmente interessante è il Tasso. Si tratta di un albero molto raro allo stato spontaneo in Toscana. È presente all'Elba con poche centinaia di esemplari racchiusi in un'area piuttosto ristretta, a nord del crinale del massiccio del Monte Capanne, delimitata ad ovest da Monte di Cote, ad est da Masso alla Quata e a nord dalla Valle della Nivera. Viene definita una specie relitta, alberi residui di una foresta presente diversi milioni di anni fa, nell'era terziaria, quando il clima era completamente diverso. Nei pressi del Monte Calanche è presente un esemplare secondo alcuni millenario inserito nell'elenco degli alberi monumentali della Regione Toscana.
Punti di interesse tappa 4 Nord (Poggio-Patresi) Per visualizzare ubicazione punti vedi mappa qui oppure scarica mappa pdf
Il Monte Capanne
Chi percorre la GTE può effettuare, imboccando il sentiero n. 101, un’impegnativa deviazione per la cima più alta dell’Arcipelago Toscano, da dove, in caso di buona visibilità, è possibile ammirare le isole circostanti e la costa toscana. In alternativa si può utilizzare la cabinovia che parte da Marciana. Dal punto di vista geologico si tratta della sommità del plutone monzogranitico, un ammasso di magma solidificatosi all’interno della crosta terrestre a bassa profondità e venuto allo scoperto a seguito di fenomeni geologici e dello smantellamento della copertura da parte degli agenti atmosferici. Gli stessi agenti che, con la loro incessante azione, hanno sfaldato la roccia in lastre che sembrano scolpite appositamente caratterizzando alcuni passaggi del sentiero n. 101. Per maggiori informazioni consultare 101 - Parco Nazionale Arcipelago Toscano (islepark.it)
La quota massima della GTE
La GTE raggiunge la sua quota massima con la GTE nord a 921 m, nel passaggio tra il Monte di Cote e La Tavola (così chiamata probabilmente per la presenza di una roccia quadrangolare), dove il tracciato si affaccia sul versante meridionale del massiccio del Monte Capanne. Il cambio di versante ha conseguenze evidenti sulla vegetazione che da macchia alta passa a macchia bassa e gariga. In queste aree sommitali a primavera si può assistere ad uno degli spettacoli più belli per un camminatore all’Isola d’Elba: le fioriture gialle delle prunelle (Genista desoleana) che tappezzano interi versanti. L’habitat di particolare interesse è definito dai botanici “gariga sommitale a dominanza di Genista desoleana”. La prunella è un arbusto che forma cuscinetti spinosi, endemico di Sardegna, Liguria orientale e Isola d’Elba. In queste garighe è possibile osservare alcune delle 8 specie endemiche dell’Elba, cioè esclusive di questo territorio, come il Fiordaliso del Capanne (Centaurea ilvensis) e la Viola dell'Elba (Viola corsica subsp. ilvensis).
Il disastro aereo dell’Itavia
Lungo la discesa della GTE nord che conduce in località La Terra si noterà una targa che ricorda il disastro aereo avvenuto in questa zona il 14 ottobre del 1960 nel quale persero la vita 11 persone (7 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio). I resti dell'aereo della Compagnia aerea Itavia vennero scoperti casualmente due giorni dopo la tragedia da un abitante di Pomonte in cerca di funghi che si fermò nei pressi di un caprile e da lì intravide, a poca distanza, la sagoma bianca di un'ala dell'aereo precipitato, ed il punto d'impatto contraddistinto da un vasto cratere, massi sconvolti e arbusti bruciati dall'incendio sviluppatosi nello schianto.
La Chiesa romanica di San Frediano
Nei pressi della località Il Troppolo, percorrendo una breve deviazione in salita dalla GTE nord, si possono osservare i ruderi della chiesa romanica di San Frediano. A causa della posizione defilata è la chiesa romanica dell’Elba meno conosciuta di cui rimane visibile solamente la pianta rettangolare con abside semicircolare e asse longitudinale sud-est/nord-ovest anziché il più utilizzato est/ovest. I muri perimetrali del piccolo edificio di 9,60 x 4,10 m sono costituiti da blocchi di granito lavorati, che si possono vedere in posizione originaria nella parte inferiore, mentre nella parte più alta sono stati risistemati in modo casuale forse dai pastori che hanno utilizzato i ruderi come ovile. L’edificio, da cui si può osservare il braccio di mare tra Elba, Pianosa e Corsica, era probabilmente una sentinella sui traffici marittimi trovandosi in comunicazione visiva con la chiesa di San Bartolomeo (sopra Chiessi e Pomonte), a sua volta in collegamento con la chiesa di San Biagio nei pressi di Pomonte. Probabilmente aveva anche la funzione di rifugio per chi percorreva l’antica Via Pomontinca, unico collegamento tra i paesi a nord del massiccio del Capanne (Poggio e Marciana) e quelli a sud (Chiessi e Pomonte), prima che fosse realizzata l’odierna strada costiera dell’”anello occidentale”.
Il Semaforo di Campo alle Serre
Facendo una deviazione sul sentiero n. 125 e poi sul 176° si raggiungono i ruderi di una postazione semaforica. Il semaforo, la cui costruzione risale al 1888 con decreto del re Umberto I di Savoia, venne attivato dalla Regia Marina per monitorare il traffico marittimo nel Canale di Corsica oltre che per l'illuminazione notturna dell'estremità occidentale dell'isola per i natanti. Nel 1920 venne attivato anche un osservatorio meteorologico che ha registrato i dati fino al 1953, anno in cui venne probabilmente decisa la definitiva dismissione dell'infrastruttura che nel corso della seconda metà del Novecento non risultava più operativa. Del complesso è visibile il fabbricato presso il quale è rimasto conservato anche il traliccio di una delle due antenne che permettevano le comunicazioni radiofoniche e telegrafiche. L'edificio che ospitava l'infrastruttura semaforica è ormai un rudere privo di tetto, porte e finestre.
Il castagneto
Questo è l'unico tratto della GTE dove si possono osservare i castagneti che caratterizzano le pendici settentrionali del massiccio del Monte Capanne, oltre ad alcuni versanti orientali a monte di Sant'Ilario per un totale di circa 300 ha. Questi boschi di origine antropica, presenti da tempi remoti, sono importanti oltre che dal punto di vista forestale anche da quello storico e culturale. I suoi frutti hanno infatti sfamato a lungo generazioni di elbani. I castagneti sono stati attaccati alcuni anni fa da insetti fitofagi che sono stati combattuti mediante il lancio di antagonisti naturali. Inoltre è in corso un progetto sperimentale di recupero di alcuni castagni.
Il Santuario della Madonna del Monte
In circa 20 minuti da Località Serraventosa sulla GTE nord si raggiunge il Santuario della Madonna del Monte. Nei pressi della chiesa sono presenti 4 maestosi castagni plurisecolari sotto ai quali nel settembre del 1814 la contessa Maria Walewska, incontrò il suo amante, Napoleone Bonaparte, in esilio all’Elba. Intitolato alla Madonna dell’Assunta questo santuario è il più antico dell’isola risalendo al XII secolo. Secondo la tradizione la chiesa fu eretta a seguito del miracoloso ritrovamento di un masso su cui era dipinta l’immagine della Vergine. In questo luogo è possibile bere l’acqua che sgorga da uno dei tre mascheroni delle fontane nella splendida esedra in granito detta Teatro della Fonte, realizzata nel 1698.
Punti di interesse tappa 4 Sud (Poggio-Pomonte) Per visualizzare ubicazione punti vedi mappa qui oppure scarica mappa pdf
I Caprili
Il caprile era la struttura utilizzata per l’esercizio della pastorizia: costituito da un recinto di forma circolare in muratura a secco, alto 60-70 cm, utilizzato per il ricovero e mungitura delle greggi e dal domolito o grottino dove si conservavano gli attrezzi per la preparazione di ricotte e formaggi e il pastore si riparava dalle intemperie. Anch’esso in muro a secco, a sezione circolare, provvisto di una piccola porta e di una finestrella, il domolito era coperto da una falsa volta realizzata con livelli di pietre progressivamente aggettanti verso l’interno. Percorrendo la GTE sud si possono osservare due caprili vicini in Località Le Mure oltre a quelli ubicati al Colle della Grottaccia, sul Monte Cenno e Orlano. Sul massiccio del Monte Capanne sono presenti numerosi caprili, la maggior parte risalgono tra gli anni ‘30 e ‘70 del secolo scorso.
Il sito archeologico de Le Mure
Il toponimo deriva dalla presenza di diversi resti murari. Alcuni sono riferibili ad epoca medievale, altri probabilmente a quella etrusca. Sono stati ritrovati frammenti di dolia, grandi contenitori in terracotta, scorie della lavorazione del ferro, ceramiche dell’Età del Bronzo, rocchetti e macinelli oltre a frammenti di bucchero che fanno ipotizzare la presenza di una fortezza d’altura. Tra l’età del Bronzo e quella del Ferro le alture del Massiccio del Monte Capanne erano abitate, come testimoniano i reperti rinvenuti, esistevano diversi insediamenti, alcuni dei quali sfruttavano dei ripari sottoroccia. Le genti erano dedite alla pastorizia e si tenevano in contatto visivo tra loro così da cooperare nella difesa da eventuali incursioni nemiche provenienti dal mare. Il ritrovamento in alcuni villaggi di prodotti pregevoli come le perle di ambra risulta particolarmente interessante e merita studi più approfonditi.
Le forme erosive del granito
La granodiorite (un particolare tipo di granito) del comprensorio del Monte Capanne, come tutte le rocce, è sottoposta all’azione degli agenti atmosferici che la modellano mediante fenomeni di degradazione sia fisici sia chimici. Pioggia, vento, salsedine, escursione termica oltre all’umidità che si infiltra dal terreno creano processi di alterazione parziale dei minerali, dando luogo ad una lenta e progressiva disgregazione dell’insieme. In questo modo si formano i cosiddetti “tafoni”, particolari cavità di dimensioni abbastanza ridotte, tipiche delle zone marittime e di quelle desertiche. La natura, come per magia, scolpisce la roccia creando veri e propri monumenti naturali, in alcuni casi zoomorfi o antropomorfi. I toponimi di diversi luoghi del versante occidentale dell’isola fanno riferimento a questi massi granitici dalle forme particolari come La Testa sul Monte San Bartolomeo o l’Aquila e l’Omo Masso, oggi non più esistente dopo un fulmine. Ognuno può dare sfogo alla fantasia osservando le rocce modellate ed associarle ad animali o ad oggetti.
I vigneti
I pendii del Monte Capanne come altre zone dell’isola erano fino ad alcuni decenni fa, interamente modellati con terrazze e coltivazioni di vigneti disposte in geometrici filari detti “ordini” e “centi”. La vegetazione spontanea ha riconquistato velocemente gli spazi che l’uomo per secoli le aveva sottratto costruendo un’imponente opera d’arte collettiva formata da decine di chilometri di muretti a secco. In questo modo furono resi coltivabili anche i versanti più ripidi. A metà Ottocento il patrimonio viticolo isolano era stimato a 32 milioni e mezzo di piante. Le viti venivano tenute basse e al palo per impedire che venissero danneggiate dal vento. Nella parte finale della GTE, percorrendo la via lastricata di granito segnate dal passaggio di contadini e asini che per generazioni l’hanno utilizzata per produrre l’uva fino a quote di 400/500 metri sul livello del mare, si possono ancora osservare i vigneti rimasti.