La via dei cisti si sviluppa lungo la porzione sud occidentale del massiccio del Capanne partendo dal nucleo di Pomonte per giungere al mare ai piedi dell'abitato e risalire, in corrispondenza della spiaggia dell'Ogliera, sulla viabilità provinciale che dovremo seguire a tratti per imboccare alcuni viottoli e stradine che la fiancheggiano, ora a valle e ora a monte del nastro asfaltato. La via prosegue attraverso la varietà geologica delle rocce dell'anello termometamorfico, arrivando fino alla spiaggia di Fetovaia, chiusa a ovest dal suggestivo promontorio, una delle poche irregolarità lungo la tondeggiante costa dell'Elba occidentale. Dopo essere saliti ancora al livello della provinciale imbocchiamo il sentiero 135 per inerpicarci ripidamente in una ricca vegetazione di ginestre e mirti, dominando con spettacolari vedute il golfo delimitato dalla spiaggia di sabbia chiara e bagnata da acque verde smeraldo, fino alla zona della Sughera, area pianeggiante (339 m slm) caratterizzata dalla macchia a cisti, e dalla presenza di resti dell'epoca preistorica. Da qui il sentiero n.137 ci condurrà altrettanto decisamente verso l'abitato di Seccheto, altra tipica frazione costiera, oggi paesino legato soprattutto al turismo e un tempo abitato da agricoltori e scalpellini dediti all'estrazione del granito. Lungo il tracciato sono posizionati 5 picchetti che segnalano i seguenti punti di interesse :
Punto di interesse 4 A - La storia della valle di Pomonte
La valle di Pomonte fu sede di antichi insediamenti e anche l'attuale nome dell'abitato potrebbe derivare dal latino "Post Montem", " al di là del monte", ma diversi autori ricordano anche il medievale "Pedimonte", ai piedi della montagna, riferendosi ovviamente al rilievo del Monte Capanne, con la relativa trasformazione del nome in Pemonte corrotto poi in Pomonte. I primi insediamenti furono tuttavia precedenti all'età romana, come testimonierebbero i ritrovamenti di manufatti di rame e di bronzo risalenti alle relative culture, la cui esistenza sull'isola sarebbe collegata al periodo che va approssimativamente dal 2000 all'800 a.C., reperti rinvenuti soprattutto nelle località più alte della vallata quali Le Mura, Campitini e San Bartolomeo. Successive frequentazioni in epoche etrusche e romane sono documentate, oltre che dal toponimo, dalla presenza di due relitti di nave nel mare antistante la vallata e dalla quantità di scorie prodotte dalla riduzione del minerale di ferro riese, rinvenibili lungo la costa. Avendo già sfruttato gran parte delle foreste dell'Elba orientale ci si apprestava a sfruttare il legname del Capanne, data la grande quantità di carbone di legna ingoiata dai forni fusori. Ma è solo nel Medioevo che si parla di un "Comune Pedemontis", sotto giurisdizione pisana. Gli abitati per il pericolo delle incursioni saracene sorgevano in altura, e molto probabilmente il principale nucleo abitativo doveva trovarsi in corrispondenza delle rovine dell'oratorio di San Benedetto in località La Terra a 460 metri sul mare dove sono stati trovati i resti di alcune abitazioni. Altri ancora sono i resti di antichi edifici nell'ampia vallata pomontinca, quali gli oratori di San Biagio, San Frediano e San Bartolomeo, in un luogo chiamato l'Oppito, rilevato anche dal prof. G. Monaco. Una grande frana sviluppatasi nell'ottobre del 1990 a partire dai rilievi orientali della vallata avrebbe portato alla luce resti di antiche attività metallurgiche legate alla riduzione del minerale di ferro. Fortunato Pintor "Nel Dominio Pisano nell'Isola D'Elba" del 1898, accennando ai terribili danni alla popolazione causati dalla peste del 1348 ci fa sapere che nel Comune di Pomonte erano rimasti "40 Homines"(40 capofamiglia). Pisa interveniva allora per alleviare le sofferenze degli Elbani con una riduzione delle gabelle. Ancora peggiore doveva essere la sorte della popolazione nel 16° sec. quando i pirati turchi guidati dal Barbarossa e poi da Dragut decretarono la fine dell'antico centro abitato, raso letteralmente al suolo. Solo nel XIX secolo è rinato l'odierno abitato di Pomonte, prossimo al mare, risorto prima come centro agricolo ed oggi come frazione turistica e residenziale, in seguito al completamento nella seconda metà degli anni 60' dell'anello stradale che circonda il Capanne.
Punto di interesse 4 B - I cisti: il cisto marino
Il genere cistus è composto da specie arbustive e fruticose tipiche della macchia mediterranea la cui fioritura è caratterizzata da fiori vistosi a simmetria raggiata con una corolla formata da cinque petali bianchi o rosati. I cisti trovano il loro ambiente ideale nei suoli costieri poveri di calcio. Il nome cisto deriverebbe dalla parola greca kystis che significherebbe piccola vescica indicando la capsula che contiene i minuti semi. Tra le specie più diffuse sulla nostra isola c'è il Cistus monspeliensis, il cisto di Montpellier noto anche come cisto marino, una pianta perenne dal portamento cespuglioso ed eretto, alta tra i 50 e 120 cm, dal fusto robusto e legnoso nella porzione inferiore, con corteccia bruna, con i rami più giovani, erbacei e pelosi, tra il verde e grigio. Sono particolarmente caratteristiche le foglie sessili, di un verde intenso, opposte e lineari, resinose al tatto che emettono il tipico odore aromatico che riempe l'atmosfera dei pendii che ospitano i suoi cespugli. Abbondante è la fioritura che avviene in primavera: tanti fiori bianchi piccoli e delicati (fino a tre cm di diametro) ma vistosi per il colore candido, ammantano le macchie con cinque petali con al centro il nucleo giallo degli stami. Il frutto è rappresentato da una capsula sferoidale contenente i semi. Durante la stagione calda le sue foglie sembrano seccarsi e virare al colore bruno per riprendersi e tornare fresche alla prima pioggia autunnale. Si tratta del cisto più abbondante, crescendo nelle garighe, nelle macchie basse e degradate e negli ambienti rivieraschi. E' pianta pirofita, tra le prime a colonizzare i terreni attraversati dal fuoco per la proprietà dei semi di resistere alle alte temperature. E' una specie visitata da insetti di tutti i tipi e vi abbondano le Cetonie (Cetonia aurata). Tra aprile e maggio, specialmente nei momenti più freschi e umidi della primavera alla bianca fioritura si accompagnano le tante macchie chiare della schiuma prodotta dalla neanidi della Sputacchina (Philaenus spumarrius), stratagemma che protegge i piccoli insetti dalla disidratazione e dai predatori.
Punto di interesse 4 C - La serpentinite
Si tratta di una roccia metamorfica appartenente al gruppo delle ofioliti: sarebbe stata proprio tale roccia verde dal colore della pelle di un serpente, dalla parola greca ofios che indica proprio questi rettili dalla colorazione verdastra, a dare il nome alla serie di formazioni geologiche, antiche porzioni di crosta oceanica e mantello trasposte su aree continentali durante i processi di orogenesi. La serpentinite, caratterizzata da diverse tonalità verdi più chiare e più scure, presentando strutture fibrose, massive e cristalline, deriva dal metamorfismo di peridotiti ed è costituita principalmente da silicati di magnesio. All’Elba è riscontrabile in varie zone, soprattutto nella zona centrale ed orientale (Poroferraio, Le Grotte e Schiopparello, Golfo Stella, Monte Fico), ma anche nella parte occidentale isolana che stiamo attraversando con la via dell' Essenza: qui vaste porzioni sono state trasformate in oliviniti e anfiboliti in seguito al metamorfismo termico operato dalla risalita del plutone del Monte Capanne. In Toscana la serpentinite viene comunemente indicata come marmo verde ed è stata impiegata in molte strutture architettoniche, legate soprattutto al romanico toscano per dar luogo alla tipica bicromia bianco – verde. All’Elba la serpentinite è stata impiegata per creare la bicromia dei muri nella maestosa villa romana delle Grotte. Nel versante orientale (pendici orientali del Monte Serra) è presente una serpentinite particolarmente ricca di calcite (Oficarbonato o Oficalcite) celebre come marmo di Santa Caterina e ricordata anche dal naturalista Ermenegildo Pini (1777) come marmo mischio di color bianco venato di verde nericcio. Poco a monte dell’eremo di Santa Caterina era infatti una antica cava usata per estrarre tale varietà litica impiegata con finalità ornamentali e per creare gli altari delle chiese di Santa Caterina e di Rio nell’Elba. Il marmo di Santa Caterina sarebbe stato stato impiegato anche nella realizzazione della pavimentazione del museo Demidoff a San Martino, presso la residenza di campagna di Napoleone.
Punto di interesse 4 D - Le necropoli della Piana della Sughera
La Piana della Sughera è un pianoro esteso per circa 200 metri con un asse Est – Ovest a circa 350 metri sul mare a monte delle frazioni costiere di Seccheto e Fetovaia. Il luogo, nell'Elba rurale di una volta, quando ogni fazzoletto di terra era coltivato, era tenuto a grano marzolino e nei pressi del sentiero che lo attraversa è visibile ancora un grosso erpice in ferro impiegato per la coltivazione. Sono però le testimonianze storiche presenti che hanno reso celebre questa modesta area pianeggiante: alle estremità della spianata si trovano infatti i resti di antiche necropoli di epoca megalitica. Sul lato orientale presso la cosiddetta zona A si trovano due sepolture caratterizzate da due grandi lastre di granito a ricavare un incavo largo circa mezzo metro alla sommità e allargandosi leggermente alla base fino ad 80 cm. Nella parte occidentale (zona B) sarebbero tre le strutture dalle caratteristiche megalitiche: un menhir alto circa quasi tre metri ma spezzato in due parti presso una sepoltura, la base, alta circa un metro, di un altro monolito, apparentemente fratturato e una grande sepoltura con il vano per il defunto circondato da cumuli di pietre, che però, a parere degli archeologi, sarebbe stata rimaneggiata in epoche successive. Ancora nelle vicinanze sarebbero molte pietre infisse nel terreno, simili alle pietre fitte riscontrabili nelle non lontane Corsica e Sardegna, a delineare circoli simbolici con probabile significato funerario. Tra i due siti il territorio presenta caratteristiche che potrebbero far pensare alla presenza di un antico luogo abitato. L'esistenza della necropoli ha fatto nascere miti e leggende nella fantasia popolare e probabilmente i luoghi sono stati anche danneggiati da sconsiderati cercatori di tesori. Diverse sono le ipotesi sulla possibile origine di questa area archeologica e altri ancora sono i siti megalitici presenti sulle pendici meridionali del Monte Capanne, tra i quali anche il celebre sito dei Sassi Ritti non distante dal paese di San Piero. Le teoria al momento ritenuta più valida dagli esperti è che questi monumenti siano riconducibili al periodo tra il II e il I millennio avanti Cristo, antiche testimonianze di un megalitismo diffuso anche in Corsica e Sardegna, collegabile alle fasi antiche dell'età dei metalli (fine età del rame-inizio età del bronzo).
Punto di interesse 4 E - Il cisto marino nella tradizione etnobotanica. Gli altri cisti presenti all'Elba
Per quanto riguarda la tradizione etnobotanica la letteratura (cfr le Schede del Percorso Etnobotanico di Capraia in www.islepark.it) ci parla degli usi officinali anche per il cisto marino che viene impiegato sin dall'antichità nella medicina come antinfiammatorio e cicatrizzante. Con le foglie si preparava un macerato alcolico noto come “cistosina” da applicare su ustioni, piaghe, dermatiti e punture d'insetto e di tracina. Ancora nella medicina popolare i fiori e rami erano usati in caso di asma e le foglie impiegate per preparare un the. Altro impiego popolare era quello di utilizzare i rametti con le foglie fresche per sgrassare e pulire i piatti. Fascine di cisto marino, all'Elba e sull'arcipelago noto anche come mucchio (mucchio pecito nel particolare caso del cisto marino) erano raccolte nel mondo rurale di una volta per accendere e scaldare i forni a legna per produrre schiacce e pani fragranti. Un'altra specie di cisto presente all'Elba, ancora con una fioritura bianca, è rappresentata dal Cistus salvifolius o cisto femmina, arbusto dal portamento cespitoso, con un'altezza massima di circa un metro, caratterizzato dalle foglie ellittiche e peduncolate che possono ricordare quelle della salvia, particolare da cui deriva il nome della specie. Le foglie del cisto femmina a differenza del cisto di Montpellier non sono ricche di oli essenziali. In primavera il cisto femmina si copre dei bei fiori bianchi ancora più grandi rispetto al cisto marino, raggiungendo un diametro fino a 5 cm. Ancora più appariscente è la fioritura del cisto villoso (Cistus incanus) o cisto rosa , altra specie che ammanta i pendii isolani. E' un arbusto dal portamento eretto ed espanso, dall'altezza simile a quella delle specie già ricordate, caratterizzato dalle foglie ovate od ellittiche interamente coperte da una peluria bianca. I suoi fiori sono rosati e molto belli, dai petali grandi e delicati, che appaiono spiegazzati quando sono completamente estesi. E' più tollerante per quanto riguardo il substrato rispetto ad altre specie prosperando anche sui terreni calcarei. Il cisto rosa era chiamato dai vecchi elbani mucchio maseto o mucchio caprino, e come avveniva per il cisto marino, le sue foglie venivano utilizzate per pulire le stoviglie, sfruttando probabilmente la fitta peluria che caratterizza questa specie.