Sentiero n. 260

Lunghezza: 4,17 km
Tempo medio di percorrenza: 1 h
Difficoltà: livello T (turistico)
Differenza altimetrica: 108 m
Ascesa totale: 131 m
Discesa totale: 28 m

Il sentiero n. 260 unisce la parte nord dell'abitato del Cavo, nei pressi della Spiaggia di Capo Castello, con la GTE, nelle immediate vicinanze del Mausoleo Tonietti.
Il tracciato si snoda, con ampi tornanti, nell'estremità settentrionale dell'isola. La via è ampia e si inoltra in una fitta Macchia Mediterranea, dove è possibile osservare una straordinaria biodiversità vegetale per quanto riguarda arbusti e alberi mediterranei.
Si tratta dei cosiddetti boschi termomediterranei a dominanza di Leccio (Quercus ilex) con una buona rappresentanza di specie termofile, adattate a vivere in ambienti caldi, fra le quali spiccano il Lentisco (Pistacia lentiscus), il Mirto (Myrtus communis) e l'Arisaro (Arisarium vulgare), assenti o molto sporadici nelle fitocenosi mesofile, caratterizzate da piante che si adattano meglio al clima temperato.
Questa associazione vegetale occupa vaste aree della parte centrale e orientale dell'isola, mentre in quella occidentale è relegata sui versanti meridionali a quote inferiori a 400 m.
I toponimi della zona fanno riferimento alle piante che si possono osservare, come ad esempio la località tra Capo Vita e il Mausoleo Tonietti denominata Martella deriva da Mortella, nome volgare del Mirto (Myrtus communis).
La via sale con ampi zig zag sulle pendici del Monte Lentisco, affacciandosi sul mare nel bel tratto costiero che da Capo Vita conduce verso il Golfo di Portoferraio.
Il tracciato termina nei pressi del Mausoleo Tonietti, particolare edificio funerario in stile neogotico, edificato ai primi del 900, progettato dall'Architetto Adolfo Coppedè, per i Tonietti, quale tomba di famiglia e come monumento a Giuseppe Tonietti, primo affittuario delle miniere elbane.
Il mausoleo è costituito da un imponente torrione a pianta quadrata slanciato in verticale, preceduto da una scalinata. Questa sua particolare struttura suggerisce un richiamo al mondo navale, in particolare alla forma di un faro. La mancata autorizzazione cimiteriale ne impedì un impiego secondo la volontà dei committenti e contribuì al suo abbandono e degrado.

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