I terrazzamenti
I terrazzamenti rappresentano la testimonianza di un'agricoltura, da alcuni definita "eroica" per le difficoltà che comportava la coltivazione dei ripidi pendii, che fin da tempi remoti è stata la principale attività economica per la maggior parte degli elbani specie nel versante centrale e occidentale.
Per sostenere i terrazzamenti venivano costruiti con grande maestria muretti a secco. Si tratta di magnifici esempi di architettura contadina che ricoprivano intere vallate fino alle zone più aspre strappando metri di superficie fertile alla nuda roccia granitica.
I terrazzamenti erano utilizzati per la coltivazione dei vigneti. Già al tempo dei Romani Plinio definì l'Elba insula vini ferax (isola ricca di vini).
I ritrovamenti di anfore vinarie sui fondali in prossimità dell'isola attestano un commercio attivo e fiorente che non cessò anche nei tempi agitati delle invasioni barbariche.
Napoleone, nel periodo della sua permanenza all'isola incoraggiò in ogni modo l'agricoltura.
Il patrimonio vinicolo era stimato a 32,5 milioni di piante, cifra mai eguagliata in seguito.
Nel 1871 risultavano oltre 4000 addetti in agricoltura (19-20% degli abitanti), la superficie di coltivazione era stimata intorno ai 5000 ettari (praticamente 1/4 della superficie isolana), con circa 32 milioni di piante ed una produzione di 123000 ettolitri di vino.
Nel 1971 gli ettari coltivati scesero ad 831 e nel 1991 a 398.
Nel 2001 risultavano 10 aziende agricole vitivinicole che producono vini a Denominazione d'Origine Controllata.
Il terreno delle vigne si coltivava a "gabbione", ossia scalzando la terra intorno alle barbe e a "rigovernatura", ossia zappando tutto il terreno andante.
Il metodo comune di coltivare le viti consisteva nel tenerle basse ed al palo per impedire che venissero danneggiate dal vento.
Venivano potate e zappate in gennaio e ancora in aprile o in maggio legandole al palo.
Secondo un metodo definito "più imperfetto che semplice", l'uva veniva vendemmiata sul finire di settembre.
La vinificazione passava attraverso l'ammostatura fatta con i piedi dentro gabbie di legno poggiate su palmenti.
I palmenti erano pile in muratura, aperte nella parte superiore e dotate in basso di un sifone dal quale, dopo almeno sei giorni di fermentazione, si faceva defluire il vino.
Questo veniva posto in botti di legno, all'uopo insolfate, che venivano chiuse ermeticamente solo dopo un ulteriore periodo di fermentazione.
In gennaio ed in marzo si facevano i travasi, ed un travaso ulteriore si faceva a settembre per i vini che si volevano invecchiare.
L'uva derivante dalla prima spremitura veniva riutilizzata attraverso un procedimento di torchiatura dal quale si otteneva un vino aspro, ma gradevole e ricco di tannino, chiamato appondatura o vinella.
Le varietà o specie più coltivate dagli agricoltori elbani sono state, da sempre, il procanico, dalle uve giallo oro, il biancone, dagli acini verde giallognolo e dalla pelle dura ed il sangioveto, dagli acini allungati color nero intenso.
Meno coltivati, invece, l'aleatico, l'ansonica ed il moscato, questi ultimi utilizzati per fabbricare vino liquoroso.