Insediamento età del bronzo in località Crino di Montecristo
All'altitudine di 420 m, la parte conclusiva della dorsale che dal Capanne scende al Poggio prende il nome di Montecristo.
Ciò che rende di estremo interesse questo pianoro è la presenza di un insediamento dell'ultima fase dell'Età del Bronzo, riferibile alla cosiddetta Cultura Subappeninica, di cui l'occidente elbano costituì l'estremo limite di diffusione ad ovest.
Tra il 1300 e il 900 avanti Cristo, le popolazioni subappeniniche abitavano le impervie vette granitiche del Capanne, praticando soprattutto allevamento caprino e tessitura, insieme a primordiali forme d'agricoltura.
Il pianoro sul Crino di Montecristo, compreso tra 420 e 423 metri d'altitudine, permise a questi genti di realizzare un esteso villaggio che comunicava visivamente con gli abitanti delle Calanche, dal monte Giove, delle Puntate e dell'Aquila, trovandosi in una posizione del tutto eccezionale e strategicamente ineccepibile.
Centinaia di frammenti ceramici molto frammentati, dal tipico impasto grossolano con inclusioni granulari e fine ingubbiatura- sottile strato superficiale di argilla che serviva per evitare il trasudamento dei liquidi contenuti nei vasi – si notano sul pianoro e su entrambi i fianchi della dorsale, a seguito dei dilavamenti atmosferici avvenuti nel corso di tre millenni; in particolare, sino agli anni sessanta dello scorso secolo, i frammenti fittili, anche di notevoli dimensioni, si osservavano lungo il sentiero sottostante.
Sono inoltre visibili diversi ciottoli marini levigati, di varia forma e grandezza, che venivano arroventati sul fuoco per poi essere immersi in bollitoi di ceramica colmi di latte, accellerando così la cagliatura, primo processo nella produzione dei formaggi, secondo un metodo che persiste in aree pastorali còrse e sarde.
Questi ciottoli "riscaldatori", rinvenuti pressochè in tutti gli insediamenti subappenninici dell'Elba, presentano spesso una superficie screpolata e fessurata dal contatto col fuoco.
Sul pianoro furono notate anche delle pomici, forse usate per la levigatura di utensili in bronzo. L'insediamento, sul lato ovest, possedeva una cinta difensiva tuttora visibile, costituita dall'inglobamento di grossi massi e l'adattamento di altri dalle minori dimensioni.
Il fianco volto al sole calante fu quello più sfruttato per le strutture abitative, le cui commoventi tracce s'infuocano con gli ultimi raggi del tramonto.
Trovandosi in forte pendio, le capanne venivano realizzate sopra piccoli terrazzamenti sostenuti da muretti a secco e delimitato lateralmente da rocce preesistenti con integrazioni di pietrame, mentre il piano di calpestio era ottenuto con un grossolano riempimento di pietre.
Il versante rivolto al sole nascente fu invece scarsamente sfruttato, nonostante fosse meno ripido, probabilmente a causa della minore insolazione invernale.
Lo stesso caprile, posto sulla sommità pianeggiante dell’altura, insiste sulle fondamenta di strutture murarie rettilinee ancora ben visibili, e non è da escludere che le pietre usate dai pastori per costruire la loro splendida salvezza facessero parte delle antiche strutture abitative; sempre riferibili ai pastori sono le ceramiche smaltate osservate nel caprile.
L’approvvigionamento d’acqua era garantito dal vicino Fosso dell’Acquitella, per quanto dal regime stagionale. Gli altri insediamenti subappenninici rinvenuti nel com-prensorio del Capanne (i già citati villaggi delle Calanche e del monte Giove, insieme a quelli scoperti presso il Masso dell’Aquila e al San Bartolomeo) hanno restituito migliaia di frammenti ceramici (bollitoi per latte, fusaio-le, rocchetti per la tessitura, pesi da telaio, macine in pietra e svariate forme di vasellame).
La tipologia abitativa più frequente era rappresentata da un sistema di capanne a pianta ellissoidale, costituite da un basso muretto in pietra che spesso, come già descritto, inglobava scogli granitici; la copertura era probabilmente realizzata con un’ossatura di rami arcuati ricoperti da foglie ed argilla per maggiore impermeabilizzazione.
Questa tecnica è testimoniata da passati ritrova-menti sul monte San Bartolomeo; in altri casi, invece, le abitazioni erano ricavate da anguste grotticelle rupestri adattate con murature in granodiorite.
Venivano inoltre create piccole piazzeforti con poderosi muri di conteni-mento, come al monte Giove e alle Calanche.
Il primo villaggio subappenninico rinvenuto all’Elba fu quello situato nel giogo formato dalla cima bicorne del monte Giove; nel 1958, su segnalazione di don Enrico Lombardi, rettore del sottostante santuario della Madonna del Monte, l’archeologo Giorgio Monaco v’intraprese un modesto scavo, rinvenendo un’ingente quantità di vasellame frammentario, un pestello litico e una macina per cereali. (Silvestre Ferruzzi, synoptika, 2007)